La nascita di Gesù.

 

Premessa storico-critica

Ciò che la Chiesa ufficialmente celebra della vita di Gesù sono le festività liturgiche, senza affermare di conseguenza che gli eventi siano storicamente avvenuti nella data in cui ricorre la festività relativa. Dal momento che è possibile studiare liberamente le date degli avvenimenti della vita di Gesù, è opportuno richiamare brevemente alcune opinioni relative al Natale.

La festività della nascita di Gesù si celebra liturgicamente il 25 dicembre. Su tale data sono stati effettuati alcuni studi, al punto che qualsiasi testo che tratti l’argomento, mette in dubbio che tale ricorrenza abbia un fondamento storico. La ricerca recentemente effettuata è invece pervenuta alla certezza che l’evento tramandato da secoli è storicamente fondato e realmente accaduto; perciò la Chiesa non celebra soltanto una solennità liturgica, ma tramanda un ricordo.

La prima testimonianza storica di tale evento si trova nel Cronografo romano del 354, che però rispecchia una prova documentale che può risalire fino al 325 d. C. Dal momento che per i periodi precedenti non esistono prove scritte si cominciò a dubitare della storicità della festa. Questa teoria della prova documentaria era favorita dal positivismo, che affermava che il documento parla da solo e che quindi la storia si fa con i documenti. La questione della prova documentaria tuttavia ha un’origine più remota, che risale al Medioevo e forse anche prima. Si è già parlato ad esempio del detto di origine ignota: Quod non est in actis non est in mundo, “Ciò che non è negli atti (processuali) non esiste. Si è pure detto che la tradizione deve essere vagliata con attenzione. Tuttavia ogni cosa richiede un’osservazione attenta.

In ogni caso, applicando il principio della teoria documentaria si arrivava alla conclusione che prima del 325 la festa del natale non esisteva o quanto meno non ne esistevano le prove scritte. Il primo a sostenere questa tesi fu Louis Duchesne, verso la fine del XIX secolo. Egli affermò che tale festività sarebbe stata fissata in tale giorno per fare concorrenza al culto mitraico del Sole invitto  che si celebrava pure in tale giorno; affermò pure che tale culto era molto diffuso nell’Impero romano.

In realtà Duchesne partiva da una semplice coincidenza, associata ad alcune affermazioni che amplificavano il culto del mitraismo, per giungere a una conclusione del tutto errata. Se Duchesne si fosse limitato a dire che mancavano le prove scritte relativamente al Natale non ci sarebbe nulla da ridire. Ma egli ampliò il ragionamento aggiungendo un’altra ipotesi, soltanto partendo da una coincidenza e senza alcuna prova scritta che dimostri che la Chiesa antica avesse fatto veramente così  come  egli affermava. Certo non sfuggì a papa Leone Magno e ad Ambrogio vescovo di Milano il fatto che ci fosse questa sovrapposizione che poteva anche creare delle associazioni di idee errate. Ma questa non è ancora una prova che la festa mitraica fosse sta la causa della festività cristiana.

 Inoltre non è vera l’affermazione di Duchesne, accettata ormai da tutti,  che il culto mitraico fosse ampiamente diffuso nell’Impero romano, ma era ristretto a gruppi di iniziati. Per i Romani il mitraismo era una religione estranea, come dimostrato da don Ruggero Iorio nel suo libro Mitra. Del resto l’accusa alla Chiesa di imitare il mitraismo è antica quanto lo è la Chiesa, ma è priva di ogni fondamento. Già Giustino (100-165 d. C.) difendeva l’autenticità del sacrificio eucaristico, come realmente proveniente da Gesù, contro le demoniache imitazioni mitraiche. Le accuse di imitazione del mitraismo continuarono con Celso, ma furono confutate da Origene. sarebbe stato perciò molto strano che la Chiesa avesse adottato una data del culto mitraico quando l’aveva sempre combattuto come rito satanico.  In realtà erano gli imperatori romani, nel periodo precedente l’editto di Costantino del 313, che avevano tutto l’interesse a diffondere il mitraismo per ostacolare il cristianesimo nascente.

L’ipotesi di Duchesne, che poi presso gli studiosi successivi era diventata una certezza, è dunque priva di ogni fondamento, perché parte da una semplice coincidenza di date, senza badare alle enormi differenze che c’era tra cristianesimo e mitraismo.

La verità invece è che si tratta di una semplice coincidenza, che si sarebbe comunque verificata in qualsiasi giorno dell’anno fosse nato Gesù. Ci sarebbe sempre stata una divinità pagana che veniva celebrata quel giorno. L’affermazione che la festività del Natale sia un culto tardivo, sorto appena nel IV secolo, lascia  ancora perplessi. Nella storia dei Papi si afferma che S. Telesforo, che fu pontefice dal 125 al 136, oltre ad aver istituito il digiuno quaresimale, stabilì la celebrazione della Messa notturna del Natale con il canto del Gloria. Gli storici dubitano di questa notizia riportata dal Liber Pontificalis; però potrebbe darsi che sia fondata e che S. Telesforo abbia conosciuto, anche indirettamente o per fama, l’Evangelista Luca. Certamente potrebbe costituire un anello di congiunzione tra i Vangeli e il  Cronografo romano, anche perché sarebbe la continuità di una tradizione che è emersa proprio dalla Chiesa di Roma.

La realtà di fondo è comunque che la festività è esistita fin dalle origini. Il fatto che non si abbiano prove scritte precedenti al Cronografo romano è del tutto irrilevante. E’ sempre stata prassi della Chiesa di intervenire quando c’erano delle controversie, e quindi dovevano per forza essere emessi documenti ufficiali. Ciò significa quanto meno che la tradizione aveva tramandato nella Chiesa di Roma la festività del Natale al 25 dicembre. Il fatto che poi nel IV secolo tale celebrazione venisse estesa da Roma a tutta la Chiesa significa che si trattava di una data autentica e non fittizia.

 

Determinazione della data

Per stabilire quando è nato Gesù si può procedere in due modi:

1)      prendere in considerazione quando Gesù Cristo è stato battezzato;

2)      calcolare quando è avvenuta l’annunciazione della nascita di Giovanni Battista.

Se si esamina il primo punto, bisogna tenere conto della data precisa in cui Gesù è stato battezzato. Con un calcolo opportuno, che qui per brevità si omette, in quanto già trattato in altro studio, si perviene  a stabilire che Gesù è stato battezzato il 25 settembre dell’anno 27 d. C. Calcolando i quaranta giorni trascorsi nel deserto si arriva alla data del 5 novembre. Bisogna ancora tenere conto che secondo l’uso ebraico non era permesso predicare e insegnare prima di trenta anni o comunque prima del trentesimo anno. Infatti Luca nel Vangelo afferma, secondo un’esatta traduzione del testo che, alla data del battesimo,  “Gesù stava per iniziare circa trenta anni” (Lc 3,23). Sappiamo sempre dal Vangelo di Luca che Gesù si presentò nella sinagoga di Nazaret, la località della sua residenza, dove era nota la sua età, e affermò, citando Isaia che lo Spirito Santo era sopra di lui (cfr. Lc 4, 18). Perché questa proclamazione fosse legittima, cioè fosse idonea ad abilitarlo alla predicazione e all’insegnamento, deve essere avvenuta almeno quando Gesù era entrato nel trentesimo anno di età. Se si fa un’analogia con l’inizio della predicazione di Pietro, che, assieme agli altri apostoli e Maria hanno atteso cinquanta giorni per la discesa della Spirito Santo (cfr. At 2, 1 s), allora bisogna sommare cinquanta giorni al 5 novembre e si perviene al 25 dicembre 27, giorno in cui Gesù compie 29 anni o comincia il trentesimo anno. Perciò si può calcolare, secondo il calendario giuliano la data di nascita di Gesù, che è avvenuta il 25 dicembre dell’anno –2. Se si calcola la data secondo il calendario ebraico, corrispondente al 25 dicembre dell’anno –2, si ottiene che Gesù è nato il 18 Tebet 3759. Quindi Gesù si è presentato alla sinagoga di Nazaret il 18 Tebet 3788, corrispondente a sabato 3 gennaio 28.

Allo stesso risultato si perviene, con notevoli passaggi in più, partendo dalla data in cui Zaccaria ha ricevuto l’annunciazione dall’arcangelo Gabriele del concepimento e della nascita di Giovanni Battista. Secondo Luca,  il punto di riferimento è che tale fatto avvenne quando Zaccaria era nel Tempio di Gerusalemme per il turno della classe di Abia (cfr. Lc 1, 5 s). È stato calcolato che tale turno avvenne tra l’8 e il 14 settembre –3. Calcolando il tempo di rientrare a casa si può affermare che Giovanni Battista fu concepito intorno al 24 settembre –3. Perciò l’annunciazione a Maria del concepimento di Gesù avviene intorno al 25 marzo –2. Quindi è accettabile, congruo e non contraddittorio affermare che Gesù è nato effettivamente il 25 dicembre dell’anno – 2, corrispondente al 18 Tebet 3759.

Si può quindi affermare che la celebrazione liturgica del 25 dicembre corrisponde esattamente ed effettivamente alla ricorrenza storica della nascita di Gesù. Non c’è dunque alcun addomesticamento di date pagane, ma soltanto una pura e semplice coincidenza. Non bisogna sorprendersi che ci sia una coincidenza: ciò sarebbe avvenuto, con ricorrenze di altre divinità, qualunque fosse stato il giorno di nascita di Gesù.

Si può quindi affermare ora, senza ombra di dubbio, che la Chiesa ha tramandato nei secoli una data storicamente autentica in relazione alla nascita di Gesù. Come ciò sia potuto avvenire lo si può stabilire, almeno al livello di indizio. La storia della medicina insegna che la Chiesa sin dal primo secolo aveva istituito in Roma delle attività ospedaliere. Sempre la storia della medicina insegna che soltanto i medici militari erano in grado di gestire gli ospedali. Ora l’unico medico di cui si parla nel Nuovo Testamento è Luca, che è pure considerato autore del Terzo Vangelo.  Si può quindi affermare che Luca era presente a Roma sia per organizzare l’attività ospedaliera sia per insegnare e tramandare il suo Vangelo. Ed è proprio dal suo Vangelo che si hanno notizie così precise relativamente alla nascita di Gesù. Inoltre proprio dalla Chiesa di Roma si diffuse la festività liturgica del 25 dicembre come celebrazione della nascita di Gesù.

 

La Natività nel Vangelo di Luca

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva:

 “Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e pace in terra agli uomini che egli ama”.

Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.  I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”. (Lc 2, 1,20).

Gli argomenti iniziali di questo brano, quali il censimento decretato da Augusto, la data del medesimo censimento, il consolato di Publio Sulpicio Quirinio e infine l’autocertificazione di Giuseppe sono tutti problemi già analizzati e risolti.

Prima di entrare nella spiritualità di questo primo Natale, è opportuno notare come tutti andavano a farsi registrare e quale moltitudine di gente si trovava a Betlemme, quando arrivarono Maria e Giuseppe. Sfavoriti dalla distanza e dal fatto che maria era incinta arrivarono lì per ultimi tanto da non poter trovare un alloggio decente: perciò dovettero adattarsi ad una grotta che di solito serviva per rifugio agli animali. Qui viene in mente il Presepio che ogni anno a Natale viene allestito nelle famiglie cristiane e nelle chiese. E’ noto che spesso il Presepio è stato accusato di essere più fantasioso che corrispondente al Vangelo e ciò perché figurano il bue e l’asinello. A ben vedere però è da ritenere che di fantasia ci sia ben poca e che invece corrisponda alla realtà più di quanto sembri. E’ vero che il Vangelo non menziona gli animali, tuttavia non si può pretendere che l?Evangelista dica tutto. Perché in tal caso i Vangeli sarebbero delle enciclopedie e non dei libri. E’ lasciato quindi all’intuito degli uditori e lettori di oggi e di allora integrare gli elementi mancanti. Che ci fossero gli animali lo si evince dagli usi e le consuetudini dell’epoca. In effetti il Vangelo scrive che Gesù Bambino “giace in una mangiatoia avvolto in fasce” (Lc 2, 12). Già la parola “mangiatoia” indica la presenza di un animale. Nelle località agricole ogni contadino aveva o un bue che gli serviva per arare i campi o una mucca, che giornalmente forniva il fabbisogno di latte per la sua famiglia. In quanto all’asino, esso era di proprietà di Giuseppe. E’ impensabile che Maria e Giuseppe abbiano effettuato il viaggio da Nazareth a Betlemme senza l’aiuto di un animale. Certamente non era sempre necessario, ma considerando lo stato di avanzata gravidanza di Maria, è impossibile che lei abbia viaggiato a piedi. Se una correzione c’è da fare, bisognerebbe mettere il mulo al posto dell’asino. Non si creda che si tratti di un’idea estemporanea. Se si legge il censimento di Esdra in occasione del rimpatrio degli Ebrei da Babilonia a Gerusalemme (-537; 538 a. C.) si legge: “I loro cavalli: settecentotrentasei. I loro muli: duecentoquarantacinque. I loro cammelli: quattrocentotrentacinque. I loro asini: seimilasettecentoventi” (Esd 2, 68). Il fatto che Esdra indichi i muli immediatamente dopo i cavalli, ciò significa che avevano una certa importanza, maggiore di quella degli asini, che vengono indicati dopo tutti gli animali. In particolare il mulo è un potente animale sia da trasporto sia da cavalcatura, che veniva usato per i viaggi nelle località montuose d’Israele.

Rimane ancora un’obiezione da superare. E’ stato scritto che “le greggi restavano per gran parte dell’anno all’aria aperta: le si faceva uscire la settimana prima della pasqua per farle rientrare solo a metà novembre, alle prime piogge di marchesvan . L’inverno lo passavano negli ovili, e basta questo particolare per dimostrare che la tradizionale data del Natale in inverno non ha molte probabilità di essere esatta, poiché il Vangelo ci dice che i pastori erano nei campi”. (Daniel-Rops) Questa obiezione è autorevole, ciò nonostante è inesatta. Innanzi tutto il Vangelo, che è soltanto quello di Luca, afferma che “c’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge”. (Lc 2, 8). L’Evangelista non menziona i “campi”, ma scrive “regione”. La traduzione può essere fuorviante, perché tale termine ha un significato molteplice, come del resto molteplice è la traduzione sia del termine greco chóra, sia di quello latino regio, sia di quello siriaco ’atrô.

E’ quasi sicuro che Daniel-Rops abbia fatto riferimento ai Campi dei Pastori, che si trova a Beit Sāhūr, località poco distante da Betlemme e ritenuta, secondo la tradizione, il luogo in cui gli angeli annunciarono la nascita di Gesù. Se anche fosse vero che i pastori si trovavano con le loro greggi all’estrema periferia del centro abitato, ciò non crea alcuna difficoltà. Il progressivo sviluppo dell’agricoltura aveva ristretto molto l’allevamento del bestiame ed era previsto che i pastori dovevano stare in aree ben delimitate affinché le pecore non danneggiassero le colture.

Quindi la traduzione dei termini citati è semplicemente luogo. Del resto si addice molto bene al sito in cui avevano trovato alloggio Maria e Giuseppe e dov’era nato Gesù, perché si tratta di un luogo periferico, in quanto nel centro di Betlemme non era possibile trovare posto.

Correggendo quanto ha affermato Daniel-Rops si può senz’altro dire che i pastori dall’inizio della primavera fino a metà autunno si allontanavano dai centri abitati, per andare verso pascoli che d’inverno non erano accessibili, mentre chi rimaneva a valle provvedeva a tagliare l’erba che d’inverno avrebbe nutrito gli animali come fieno. Da novembre a marzo i pastori rientravano in prossimità dei centri abitati e sistemavano il bestiame negli ovili, sia per le piogge ricorrenti, sia perché quello era il periodo di gestazione delle pecore, che figliavano gli agnelli nel mese di marzo. In buona sostanza ciò era analogo a quanto avviene oggi nelle zone alpine, dove i pastori con la buona stagione salgono agli alpeggi per rientrare in autunno presso i centri abitati.

Dopo questa lunga disamina e assieme a tutti gli altri elementi già raccolti, si può senz’altro dire che la presenza dei pastori nelle vicinanze della grotta in cui era riparata la Sacra Famiglia, è una conferma che gesù è nato in dicembre.

Rimane tuttavia ancora un particolare da esaminare, prima di contemplare la spiritualità del primo Natale. Si tratta del viaggio che Maria e Giuseppe dovevano affrontare per recarsi a Betlemme. La distanza da Nazareth a Gerusalemme è di circa 140 km ai quali bisogna aggiungere altri 10 km per arrivare a Betlemme. Il giorno di partenza è l’11 Tevet 3759 (18 dicembre –2). Dal Vangelo si sa che Gesù è nato a Betlemme, quindi erano arrivati colà almeno al 17 Tevet (24 dicembre). La differenza è di sette giorni, considerando però che il 14 Tevet  (21 dicembre) cade di sabato, i giorni effettivi di viaggio erano sei. Maria e Giuseppe dovevano quindi percorre circa 25 km al giorno per arrivare a Betlemme, ossia viaggiare in media circa 6 ore e 15 minuti al giorno. La cosa era fattibile. i viaggi di solito avvenivano durante le ore del giorno; considerando che nel mese di dicembre le ore totali di illuminazione solare erano circa dieci, il viaggio poteva senz’altro essere fatto con quelle modalità, con un congruo periodo di riposo intermedio a metà giornata.

 

La spiritualità del primo Natale

La contemplazione delle realtà spirituali è sempre qualcosa di molto impegnativo e ancor più lo è la spiegazione di ciò che si è contemplato.  A maggior ragione se si tenta di scrivere qualcosa sulla spiritualità del primo Natale.

Il Vangelo di Luca nel descrivere la nascita di Gesù sembra essere sbilanciato. In 7 versetti descrive sinteticamente ciò che è avvenuto dalla pubblicazione dell’editto di Cesare Augusto fino alla nascita di Gesù. Negli altri 13 versetti, quasi il doppio dei precedenti, la descrizione di ciò che avviene è invece molto minuziosa. La descrizione dei pastori, l’apparizione di un angelo, l’annuncio della nascita del Messia, il coro celeste degli angeli che glorificano Dio, il breve viaggio dei pastori fino a Betlemme, la gioia dei pastori che raccontano di quanto avevano udito e il loro lieto ritorno al lavoro che li impegnava. Di ciò che hanno prova Maria in quel lieto momento si dice pochissimo, quasi nulla, tranne un versetto: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19); di Giuseppe non si fa neppure menzione.

Si è scritto sopra che la descrizione della nascita di Gesù sembra essere sbilanciata. In realtà non lo è. Il centro dell’attenzione di tutti dev’essere Gesù e soltanto Gesù, il resto è del tutto secondario. A ben vedere Luca non fa altro che riferire ciò che gli è stato detto, senza dubbio da Maria stessa. Il modo dettagliato con cui vengono descritti i fatti riguardanti la glorificazione di Dio e di Gesù e l’umile nascondimento di Maria di fronte a ciò non può pervenire dal altri che da Maria stessa. Si può dire di più: la frase del Vangelo che riferisce che “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”, quasi certamente non fu neanche detta. Luca, però, fine ed esperto medico, era in grado di valutare la profonda spiritualità della Madre di Gesù soltanto nel sentirla parlare, dallo sguardo purissimo degli occhi, dall’atteggiamento composto e riservato che essa manteneva. Da tutto ciò egli poteva valutare come avesse vissuto quei momenti. Detto per inciso, si può facilmente notare che il v. 19 interrompe la narrazione degli eventi.

Proprio questo versetto ci fa percepire a quale grado di santità fosse già pervenuta Maria: “Essa penetrava con l’occhio dello spirito nelle cose divine che si compivano davanti a lei. Ne gustava la bellezza, ne conservava il profumo. Adorava in silenzio”. (Valensin e Huby). Eppure c’è ancora qualcosa da osservare in questa spiritualità del primo Natale.

L’occasione di analizzare attentamente i fatti viene proprio dalla conoscenza della cronologia. Si sa così che la nascita di Gesù avvenne il nono giorno dopo il 10 Tevet. E’ un giorno di digiuno per ricordare l’inizio dell’assedio di Nabuccodonosor a Gerusalemme.

Il digiuno è accompagnato da preghiere pubbliche, come si è già visto trattando dei giorni penitenziali dell’ebraismo. Dopo le orazioni comuni ad ogni giorno c’è la preghiera di implorazione (Tahanun), accompagnata dalla confessione silenziosa dei peccati (Viddui). Si legge un brano di Neemia: “Tu sei stato giusto in tutto quello che ci è avvenuto, poiché hai agito fedelmente, mentre noi ci siamo comportati con empietà” (Ne 9, 33). Durante la funzione religiosa si suonava il shofar. Interessante è sapere che “durante il periodo del secondo Tempio erano praticati giorni di digiuno, quotidiani o due volte alla settimana, per motivi ascetici, specialmente dalle donne (Lc 2, 37), ma anche dagli uomini (Lc 18, 12; Mc 2, 18). Ciò avveniva anche in attesa di una rivelazione apocalittica” (Herr).

Di notevole importanza è sapere che ai tempi di Gesù c’erano donne e uomini, che praticavano digiuni volontari. Tale pratica ascetica avviene ancora oggi; infatti nel rituale ebraico è prevista una preghiera di offerta volontaria di digiuno. Fra questi possiamo senz’altro includere Maria e Giuseppe, sebbene in entrambi le finalità fossero diverse da quelle del fariseo di Lc 18,12; invece erano identiche a quelle della profetessa Anna. Ci si può chiedere se era necessario che Maria praticasse il digiuno o facesse altre penitenze. Oggi i cristiani sanno che Maria è santissima, ma la sua santità deriva sì dalla grazia di Dio profusa su di lei già dal momento del suo immacolato concepimento e da tutte le ulteriori grazie a lei concesse. Ma tale santità è anche dovuta alle azioni meritorie da lei acquisite durante la sua vita e fra queste il digiuno e la penitenza sono le principali. E’ tipico di tutti i santi, l’esempio più attuale è quello di Padre Pio, espiare con i propri sacrifici i peccati del mondo. Anche se essi sanno, in scienza e coscienza, di non aver commesso alcun peccato che possa offendere Dio, essi percepiscono ogni difetto, anche il più piccolo, come un oltraggio al Signore.

Maria dunque sapeva di dover fare un lungo viaggio, pieno di sofferenze. Essa ormai era in stato di avanzata gravidanza e recarsi a Betlemme in quelle circostanze era molto faticoso oltre che rischioso. Giuseppe percepiva questo stato d’animo della sua sposa, ma non poteva far nulla. Era obbligato ad andare nel suo paese natio; nulla l’avrebbe giustificato di fronte all’autorità romana in caso di omissione. Ecco quindi la spontanea offerta di entrambi di continuare, fino alla nascita di Gesù, anche durante il viaggio, la penitenza iniziata il 10 Tevet. Tanto più che non poteva non essere evidente ai loro occhi un singolare parallelismo: se il 10 Tevet si faceva penitenza e si digiunava per l’inizio dell’ assedio al Gerusalemme in quel momento il 10 Tevet diventava l’inizio della redenzione di Gerusalemme, d’Israele e di conseguenza di tutta l’umanità.

Si può in conclusione affermare, senza timore di smentite, che maria e Giuseppe, con l’accettazione di tutte le loro sofferenze in espiazione dei peccati del mondo, accettazione praticata con ulteriori sacrifici, digiuni e preghiere, furono i primi a celebrare la Novena del Santo Natale, di quel giorno natale del nostro Signore Gesù Cristo, storicamente avvenuto a Betlemme il 25 dicembre –2, 18 Tevet 3759.

 

DARIO BAZEC